Gli atenei veneti tagliano i corsi. Sostituiti i ricercatori che protestano

Venezia – Protesta dei ricercatori contro il ddl Gelmini e no alla didattica. L’anno accademico per le università del Veneto inizia con molti interrogativi aperti e una sola certezza: la riduzione dell’offerta didattica. I numeri del no alle lezioni, a poco meno di due settimane dall’inizio, cominciano infatti ad essere importanti: hanno aderito il 72,4% dei ricercatori di Verona (145 in tutto), il 60,4% di quelli di Venezia (149) e il 43,7% di quelli di Padova (917). Tra aule piene fino a scoppiare, corsi opzionali che non partiranno e crediti a scelta che finiranno in un punto di domanda, lo scenario per l’anno accademico in arrivo preoccupa ormai non poco studenti e famiglie. Ma la risposta dei rettori veneti è unanime: «Bisogna far di tutto per non danneggiare gli studenti». A Padova, Venezia e Verona si cerca di limitare i danni. I ricercatori rinunceranno alla didattica, ma le cattedre non rimarranno vuote. Dove mancherà un ricercatore si farà un contratto a termine per sostituirlo con un professionista esterno. Almeno per i corsi essenziali.

Le lezioni insomma dovranno continuare, magari spostate al secondo semestre oppure rinviate. «Quello dei ricercatori non è uno sciopero, sostituendoli non lediamo un loro diritto – dice Carlo Carraro, rettore di Ca’ Foscari – cercheremo però una mediazione, sposteremo tutti i corsi possibili al secondo semestre, ma il nostro compito è comunque quello di garantire la didattica. Quando non sarà possibile faremo delle sostituzioni». E così nel Veneziano si comincerà con 3 mesi, a volte anche 6, di slittamento. «Ma sarà difficile trovare professionisti di questo livello – dice però Paolo Cescon, preside della Facoltà di Scienze – la professionalità dei ricercatori è molto alta. Quanto ai pagamenti, dubito che l’esiguo incentivo economico dato ai ricercatori basterà per pagare un intero corso da parte di un professionista esterno».

Stessa politica delle «sostituzioni» anche dall’Università degli studi di Padova, dove però le decisioni saranno demandate ad ogni facoltà e non seguiranno un indirizzo omogeneo. A Lettere, per esempio, il preside Michele Cortellazzo, ha deciso di affidare ad «esterni» solo i corsi fondamentali – 33 su un totale di circa 120 – e di cancellare quindi la quasi totalità degli altri insegnamenti. «Si tratta di una dolorosa maniera per segnalare all’opinione pubblica lo stato di degrado in cui la classe politica sta gettando l’università pubblica», ha scritto il preside in una lettera consegnata agli studenti, che ieri hanno affrontato il test di entrata alla Facoltà. Ad Ingegneria, invece, il preside Pierfrancesco Brunello ne coprirà 200 su 350. Intanto il rettore Giuseppe Zaccaria ha invitato gli attori della protesta ad un gesto di responsabilità, che permetta di non danneggiare eccessivamente gli studenti.

Giorni contati e dead line silenziosa, invece, per i ricercatori veronesi, perché se da parte dell’Università di Verona non è stato annunciato alcun provvedimento nei loro confronti (quattro su otto le facoltà in subbuglio: Lettere, Lingue Scienze matematiche e Scienze della formazione) sono però comparsi su internet i bandi per le lezioni che lo scorso anno erano loro affidate. Se risponderanno entro il 20 o il 21 settembre avranno la precedenza, altrimenti i corsi verranno affidati a supplenti esterni. «Punto a coprire almeno il 70% dei corsi sospesi – spiega il preside della facoltà di scienze, Roberto Giacobazzi – e in cattedra potrebbe arrivare anche qualche ricercatore della Glaxo». Più regolare invece l’avvio a Lettere: la facoltà ha spostato quasi tutti i corsi tenuti dai ricercatori al secondo semestre. E intanto la scorsa settimana il rettore Alessandro Mazzucco ha firmato una lettera aperta ai ricercatori chiedendo loro di non bloccare la didattica e mettendo sul piatto un investimento di un milione di euro per gli avanzamenti di carriera.

Fonte: corrieredelveneto.corriere.it

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